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La filanda di Cornuda nasce nel 1881 per iniziativa del cav. Antonio Serena, sindaco di Cornuda, e alla morte di questi, nel 1920, passerà in proprietà ai figli Gino e Luigi, venendo successivamente diretta da Gino in società con Ugo-Mario Possenti, già direttore della filanda Zadra di Vidor e avrà come dirigenti, in periodi diversi, Norris, Vanetti, Balestreri, Emilio Guarnier (durante la seconda guerra mondiale), Roccon, Antonio Paulon (1946-1950) e Domenico Simoni.
Quote di proprietà verranno gestite, in periodi diversi, da Antonio Pizzolotto (1917) e dalla Ditta Innocente Zadra di Vidor.

La sua costruzione è dettata dall’esigenza di sostituire, in risposta al fiorente sviluppo del mercato della seta, la filanda vecchia sorta a metà circa del XIX° secolo ed ubicata lungo la vecchia strada feltrina, all’altezza della fornace, in via 8/9 maggio.
Particolare non trascurabile fu, durante gli scavi per la costruzione della nuova filanda, la scoperta di importanti ritrovamenti che portano ad ipotizzare, tesi sostenuta anche dallo storico cornudese Prof. Giuseppe Corso, l’esistenza in loco di un sepolcreto romano (AA.VV., Cornuda nella sua vita religiosa e civile, “Piccola Collezione Cornudese”, Quaderno n.18, 1959, pag. 23).

L’opificio - da quanto risulta da documenti dell’ archivio privato della famiglia Serena - nel 1930 espone 160 bacinelle occupando giornalmente circa 300 persone, perlopiù del paese, ma provenienti anche dai paesi vicini e si sviluppa in parecchi stabili. Gli uffici si trovano a nord della fabbrica e, di fronte agli stessi, in un altro stabile, trovano posto, al primo piano la gallettiera (con l’essiccatoio dove venivano posti a seccare i bozzoli) e, al piano terra, un’ ampia sala mensa - innovazione di rilievo per quei tempi – e un dormitorio per le operaie provenienti da lontano.

Nel corso della Grande Guerra, mentre i figli del proprietario, Gino e Luigi partono per la guerra (il secondo verrà decorato con Croce di Guerra) e la famiglia è profuga, prima ad Altivole, presso la famiglia Giacomelli, poi a Firenze e a Signa, l’opificio viene bombardato e dovrà venir totalmente ricostruito nel dopoguerra. Ripresa l’attività ed i normali ritmi di lavoro, la filanda, che a giugno si ferma per una quarantina di giorni per la raccolta dei bozzoli, vede incrementare la produzione ed il numero di addetti.

Come è stato più volte sottolineato, il lavoro di filanda è donna, e donne sono la quasi totalità delle addette, fatta eccezione per i quadri dirigenti, per il capo officina addetto alla manutenzione delle macchine, Giovanni Furlan, per uno dei primi operai – Donà Sartor “Vangelio” (fu lui a portare in soffitta i trecento lampioni a petrolio sostituiti dalle prime lampade elettriche) - e per i fuochisti: Ugo Dalla Zuana e Antonio Comin, detto “Toni Postioma” con allusione al paese d’origine.

All’ interno della filanda le mansioni sono molteplici: c’è il direttore, che talvolta le maestranze evitano preferendogli il più mite Gino Serena; ci sono le assistenti che fanno da tramite tra padrone e lavoratrici (oggi si chiamerebbero capi reparto). All’ingresso dello stabilimento, in portineria, si alternano negli anni diverse persone, tra le quali Amalia Pandolfo; poi ci sono impiegati ed impiegate, come Rina Furlan e Teresina Tittoto.
La lavorazione della seta viene svolta invece dalle filandere: la scopinatrice (scoatina) butta i bozzoli negli appositi recipienti e tira su i primi fili mano a mano che gli stessi bozzoli si sciolgono; la filatrice (mistra) controlla il formarsi del filo che va ad avvolgersi nell’aspo per formare la matassa ed ha alle proprie spalle l’annodatrice (ingropina), pronta ad intervenire per riannodare i fili rotti: invidiata dalle colleghe non essendo, come loro, costretta ad immergere di continuo le mani nell’acqua bollente. Tra le molte donne presenti in filanda le più conosciute sono: Rosaria Bordin, Angela e Costantina Bacchetto, Angelina Groppo (proinèra come, prima di lei, sua madre Zefira Spinetta), Teresa e Maria Panazzolo, Gigetta Fornasier Fasan, Ernesta e Amalia Dalla Zuana, Attilia Benetton, Assunta Panazzolo, Rina Masin, Antonietta Zavarise, Italia Colle, Maria Noal, Adele Buratto.

La fabbrica è divisa in due parti: una in cui ha luogo la trattura del prodotto, nell’altra, la cosiddetta stanza della seta, si procede al controllo delle matasse prodotte ed al loro stoccaggio. Il lavoro all’interno dell’azienda si svolge a turni. Oltre alle figure già nominate, molte altre operano specie nel primo reparto. Le strusine, ad esempio, che hanno il compito di raccogliere gli scarti della scopinatura, detti anche strosi, o le bigattine, incaricate di passare dalle filatrici a raccogliere i bigàt (le crisalidi). Nel secondo reparto, al piano terra, chiamato anche mezzà, operano la proinèra (o provinatrice), incaricata del prelievo di piccoli quantitativi di filato da consegnare all’ assistente, che ne verifica la qualità), la levaséda (addetta al prelievo delle matasse finite), la passaséda (che controlla la qualità delle diverse matasse eliminando quelle “sporche”, vale a dire difettate), la cernitrice (che seleziona i bozzoli eliminando gli irregolari) e le già menzionate assistenti, incaricate dei vari controlli e dell’organizzazione del lavoro. Tra queste: Elsa Costa da Alano, Giuseppina Balliana da Col San Martino, e Giulia Pederiva.